Archivi giornalieri: 25 agosto 2011

Metacomunicazione

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Premetto che questo articolo è frutto dei miei studi privati, indi per cui non è permesso il riutilizzo e/o il copia-incolla senza il mio permesso.

 

Probabilmente questo è l’argomento più importante che potrei mai trattare sul blog, e non ho la presunzione di concluderlo in un solo post. Avviso già da ora che se ne sentirà parlare più volte, sempre in maniera diversa ma sempre sottolineandone l’enorme importanza.
Quello che scriverò qui vale come mia personalissima opinione e non vuole essere un messaggio di Verità ultima. Leggetelo come un altro punto di vista abbastanza interessante da poter essere preso in considerazione. Per il resto, ognuno sceglie di vivere come preferisce.
Come dichiarazione d’intenti, vorrei evidenziare la mia assoluta convinzione che tutto il palcoscenico del bdsm/fetish può reggersi in piedi in modo sano e duraturo attraverso una singola azione: la Metacomunicazione.
Ora che ho specificato la mia tesi, prima di mettermi d’impegno ad argomentarla, vi regalo una digressione per capire bene di cosa si sta parlando.

Prendiamo due persone: Fabio e Patrizia. Stanno insieme, non stanno insieme, si conoscono, non si conoscono, sono amici, sono nemici; sono tutte cose che decideremo di volta in volta con gli esempi. I concetti che vi presenterò potrebbero essere caotici e troppo vicini, chiedo venia.

Il concetto base è che nel momento in cui Fabio comunica un messaggio a Patrizia, il processo comunicativo non è finito qui. Si inserisce il concetto di retroazione, laddove una volta comunicato qualcosa da A a B, B con la sua risposta modificherà a sua volta A.
Dato per certo che NON SI PUO’ NON COMUNICARE (il cercare disperatamente di non comunicare -anche con il linguaggio del corpo- è in realtà veicolo di un messaggio chiarissimo “non voglio comunicare”), la nostra vita è totalmente immersa nella comunicazione e nelle sue retroazioni.
Immediatamente agganciato alla retroazione è il concetto di equilibrio omeostatico, che reagisce a qualsiasi cambiamento facendo in modo che resti intatto l’equilibrio precedente al suddetto cambiamento. Un esempio? Consideriamo un individuo disturbato psicologicamente e la sua famiglia. Non è così raro che nel momento in cui l’individuo migliora e/o guarisce, qualcun altro in famiglia si ammala. Se consideriamo come l’equilibrio di quella famiglia comprendesse la presenza dell’elemento disturbato per permettere a tutti gli individui di relazionarsi in un certo modo, l’assenza di questo anello porta al processo omeostatico atto a trovare immediatamente un rimpiazzo. Questo vale per qualsiasi diade-triade o rapporto con più persone; l’equilibrio non è affatto detto che rispecchi quella che è la nostra idea di ‘stabilità’, ‘armonia’, ‘pace’. In una famiglia con la figlia schizofrenica, il padre assente e la madre iperprotettiva, i ruoli sono perfettamente incastrati e funzionanti, e l’equilibrio è assicurato da loro stessi; non solo, vi dirò anche che il loro equilibrio è ben più saldo di quello di una famiglia ‘sana’, in quanto le loro regole e la loro dinamica è ben più fissa ed immutabile delle altre. Vien da sè la considerazione che una comunicazione sana si adatta ai cambiamenti, ma i confini tra il giusto e lo sbagliato qui sono labili ed etici, perciò mi limiterò ad esprimere la mia idea senza cercare di condannare qualcuno.
Considerando invece il rapporto tra due persone, ci rendiamo subito conto quanto spesso e volentieri siamo impegnati nel dare una punteggiatura agli eventi. Prendiamo Fabio e Patrizia, che finalmente possono iniziare a fare il loro dovere in questo post. I due litigano in continuazione: lui accusa lei di essere isterica ed aggressiva, cosa che lo porta ad essere freddo e distaccato per trovare pace; lei accusa lui di essere freddo e distaccato, cosa che la porta ad essere isterica ed aggressiva per attirare disperatamente l’attenzione. Non serve una grande immaginazione per capire l’impasse in cui si sono vicendevolmente intrappolati.

Marito: (al terapeuta) So ormai per esperienza che se voglio la pace in famiglia non devo intromettermi perchè mia moglie vuole fare le cose a modo suo.
Moglie: Non è vero! Quanto vorrei vederti prendere qualche decisione o avere un pò più di iniziativa almeno una volta ogni tanto perchè…
Marito: (interrompendola) Non me lo permetteresti mai.
Moglie: Sarei contenta di lasciarti fare – ma se ci provo, non muovi neanche un dito, e allora devo fare tutto io all’ultimo momento.
Marito: (al terapeuta) Capisce? Uno non può occuparsi delle cose se e quando c’è bisogno – tutto deve essere pianificato e organizzato una settimana prima.
Moglie: (con rabbia) Fammi un solo esempio. Dì quand’è stato che hai fatto qualcosa negli ultimi anni.
Marito: Non ho nessun esempio da fare, perchè è meglio per tutti, anche per i bambini, se ti lascio fare a modo tuo. E’ una verità che ho scoperto molto presto dopo che ci siamo sposati.
Moglie: Sei stato sempre così, da quando mi ricordo – le decisioni le hai lasciate sempre a me!
Marito: Santo cielo, adesso mi tocca sentire anche questa (pausa, poi si rivolge al terapeuta) – ecco cosa dirà, dirà che stavo sempre lì a chiederle cosa voleva – per esempio “dov’è che vuoi andare stasera?” o “come ti piacerebbe passare il week-end?” e invece di capire che cercavo di farla contenta, si arrabbiava…
Moglie: (al terapeuta) Già, però quello che ancora non capisce è che se una sente un mese dopo l’altro la stessa sinfonia “tutto – quel – che – vuoi – cara – per – me – va – bene” una comincia a capire che a lui non gliene importa niente di quello che una vuole… [Watzlawick, Beavin, Don D. Jackson, “Pragmatica della comunicazione umana”, Roma Astrolabio (1971), p.86-87]

Tutto questo ci porta all’importante concetto della ‘profezia che si autodetermina’ […] che dal punto di vista dell’interazione è forse il fenomeno più interessante nel settore della punteggiatura. Nella comunicazione, il ‘dare la cosa per scontata’ si può considerare l’equivalente della ‘profezia che si autodetermina’. E’ il comportamento che provoca negli altri una reazione alla quale quel dato comportamento sarebbe la risposta adeguata. […] L’aspetto tipico della sequenza (che poi è ciò che lo rende un problema di punteggiatura) è che l’individuo in questione crede di reagire a quegli atteggiamenti e non di provocarli. [Watzlawick, Beavin, Don D. Jackson, “Pragmatica della comunicazione umana”, Roma Astrolabio (1971), p.88]

Una quantità imbarazzantemente grande di conflitti nelle coppie nascono proprio da un’errata punteggiatura, o ancor meglio dalla pretesa di inserire una punteggiatura ad un livello troppo maturo cronologicamente (relativamente al conflitto) per poterlo davvero fare. Se Fabio urta un vaso e Patrizia urla perchè era il regalo di sua nonna, non facciamo nessuna fatica a comprendere la punteggiatura; Fabio potrà scusarsi (e magari lamentarsi un pò perchè il vaso era in una posizione già di per sè precaria) e lei potrà sospirare e raccogliere i cocci (o magari tenergli il muso, non ha importanza).
Tuttavia questa possibilità non c’è sempre: a volte è talmente sottile la ragnatela che ha invischiato i comunicanti con un lento crogiolamento, che diventa assolutamente irrilevante porre una punteggiatura, perchè oramai entrambi hanno alle spalle lo stesso bagaglio e ne sono responsabili in egual modo.
Ha senso allora concentrarsi sull’analisi della loro situazione attuale e al modo per uscire dalle corde con cui si sono intrappolati. Ma facciamo una cosa per volta.

L’ultimo grande concetto che ci manca per poter trattare in modo soddisfacente l’argomento è quello di Metacomunicazione, per l’appunto. Dall’inizio del post non ho fatto altro che parlare di alcuni meccanismi della comunicazione, con relativi esempi laddove l’ho ritenuto necessario. Durante tutto questo post comunicherò sulla comunicazione: ergo metacomunicherò.
La necessità di definire la metacomunicazione è essenziale, perchè mai come in questo campo i livelli si mischiano. Se sto facendo una dimostrazione matematica e qualcuno mi fa una domanda, utilizza la lingua che padroneggia meglio al momento (può essere la sua lingua madre o l’inglese, se si trova in uno scambio culturale, o in qualsiasi altra lingua adatta alla circostanza). Se voglio fare una domanda riguardante la comunicazione, utilizzo la stessa lingua che uso quotidianamente, e le possibilità di creare ambiguità sono moltissime, perchè non c’è più alcuna distinzione tra la lingua che uso per comunicare e tra quella che uso per comunicare sulla comunicazione.
Comunicare sulla metacomunicazione è un livello ancora successivo, replicabile teoricamente all’infinito.
Ora, la metacomunicazione è essenziale per riuscire a chiarire la natura della relazione in corso tra due o più persone, così come per chiarire i ruoli di potere che ci sono all’interno.

I coniugi erano ricorsi allo psichiatra per i litigi (talvolta anche violenti) che scoppiavano tra di loro e che li lasciavano profondamente preoccupati perchè sentivano di aver fallito tutti e due come coniugi. Erano sposati da ventun anni. Il marito era un uomo d’affari di successo. All’inizio dello scambio verbale che riproduciamo, la moglie aveva solo osservato che per tutti quegli anni di matrimonio non aveva mai saputo in che rapporti fosse col marito.
Psichiatra: Lei vuole dire che avrebbe bisogno di ricevere da suo marito qualche indicazione per sapere se è contento di quello che lei fa.
Moglie: Sì.
Psichiatra: Ma suo marito non le fa delle osservazioni, positive o negative che siano?
Marito: E’ raro che io le faccia osservazioni…
Moglie: E’ proprio raro…
Psichiatra: Allora come- come sa che…
Moglie: (interrompendolo) Lui fa solo i complimenti. E’ questa la cosa che sconcerta. Mettiamo che mi si bruci qualcosa che ho cucinato -lui dice che è proprio ‘buono, molto buono’. Ma se preparo un piatto che è veramente buono, lui ripete la stessa frase: ‘Buono, molto buono’. Gliel’ho detto che non capisco quand’è che mi critica e quando mi fa i complimenti. Ma lui pensa che i complimenti mi spingano a far meglio, così quando proprio me li merito lui è al sicuro (li fa sempre). Stanno così le cose…Il valore dei complimenti l’ho perduto.
Psichiatra: Lei vuol dire che non sa in che rapporti è con una persona che le fa smepre i complimenti…
Moglie: (interrompendolo) No, io non so più quando è che mi critica e quando sono veri i complimenti che mi fa.
Anche se i coniugi sono entrambi pienamente consapevoli dello schema in cui sono impigliati, alla fine la consapevolezza non li aiuta a fare qualcosa che uscirne. [Watzlawick, Beavin, Don D. Jackson, “Pragmatica della comunicazione umana”, Roma Astrolabio (1971), p.76]

Prendiamo ancora Fabio e Patrizia, e diciamo che lui sia il Master e lei sia la slave; lei è stata ‘collarizzata’ due mesi prima, e come moltissimi fanno, hanno stilato un contratto con tanto di firma e timbro. Quel contratto non è forse metacomunicativo? Non chiarisce la natura della loro relazione? Non stanno forse parlando della loro relazione su quel pezzo di carta? Poniamo il caso in cui Fabio e Patrizia metacomunichino senza sapere di farlo, senza distinguere consciamente i livelli. Mettiamo che Fabio abbia fatto qualcosa che ha ferito profondamente Patrizia a livello emotivo; qualcosa che doveva essere taboo, che doveva essere FUORI dal bdsm, e che invece era entrato con forza e l’aveva lasciata totalmente spogliata della sua sicurezza. Immaginiamoci Patrizia che gli dice – Non dovevi farlo -, e Fabio che le risponde – Non sei tu a dare gli ordini qui -.
Il problema? Patrizia sta metacomunicando, Fabio no. Fabio non ha distinto i livelli, e si sta comportando esattamente nel ruolo che gli è dato, non astraendosi. Ma per metacomunicare c’è bisogno di uscire dalla bolla di ruoli della dinamica relazionale. E’ come se due soldati di fazioni opposte in guerra abbandonassero le armi, si sedessero ad un tavolo e giocassero a scacchi decidendo le rispettive strategie.
Mi sembra estremamente chiarificatore citare il meraviglioso scritto teatrale di Edward Albee, Chi ha Paura di Virginia Woolf, dove la comunicazione tra i due protagonisti (che sono sposati) si piega al loro gioco e risulta così scarsa a livello metacomunicativo da mostrare gli effetti disastrosi di due ruoli che non riescono più a fare altro che distruggersi a vicenda.
Anzi, per essere sicura di dire con certezza tutto quello che voglio dire sull’argomento, cito me medesima copiando un paio di miniparagrafi da una ricerca che avevo fatto in passato, incentrata proprio sui paradossi della/nella comunicazione.

2. Il paradosso nella comunicazione

Entrando nello specifico dei paradossi pragmatici, questi hanno particolare valore nelle comunicazioni umane in quanto generano comportamenti che possono cadere nella schizofrenia e altre patologie.
Nell’interazione umana, si genera un paradosso quando:
・ Vi è una forte relazione di tipo complementare (ufficiale e subordinato, ad esempio).
・ Viene data un’ingiunzione che deve essere obbedita ma deve essere disobbedita per essere obbedita.
・ La persona che nella relazione ricopre la posizione one-down (sottomesso) non è in grado di uscire dallo schema paradossale in quanto non può metacomunicare*** (cioè comunicare sulla comunicazione paradossale).

La forma più frequente di paradossi nella pragmatica della comunicazione umana è un’ingiunzione che richiede un comportamento specifico, che proprio per sua natura non può che essere spontaneo. Ad esempio, chiunque riceva il messaggio “Sii spontaneo!” si ritrova in una posizione insostenibile, perché per obbedire ed essere spontaneo deve entrare in uno schema di non spontaneità, che è l’obbedienza. Alcune varianti possono essere:
(a) “Dovresti amarmi”
(b) “Non essere così ubbidiente”
(c) “Sai che puoi fare quello che vuoi, non preoccuparti se però poi piango”

Queste ingiunzioni sono paradossali in quanto richiedono la simmetria in un tipo di rapporto complementare.
Sottoporre una qualunque persona per lungo tempo ad un tipo di comunicazione di questo tipo significa ledere significativamente la sua salute mentale, in quanto uno stimolo paradossale non può che generare una risposta altrettanto paradossale. Il lavaggio del cervello infatti si fonda quasi esclusivamente sul paradosso pragmatico.

Lo studio condotto a metà del 1900 da Bateson, Jackson, Haley e Weakland ha gettato nuova luce sul comportamento schizofrenico, ipotizzando che fosse l’ambiente a generare la schizofrenia, e non la schizofrenia a degradare l’ambiente circostante. Secondo loro infatti lo schizofrenico “deve vivere in un universo in cui le sequenze di eventi sono tali che le sue abitudini di comunicazione non convenzionali in qualche modo saranno appropriate”. Studiando approfonditamente questo tipo di comunicazione, sono arrivati a coniare il termine doppio legame.
Questo è generato quando:
・ Due o più persone sono coinvolte in una relazione intensa che ha un alto valore di sopravvivenza fisica e/o psicologica per una di esse, per alcune, o per tutte.
・ Viene dato un messaggio che è strutturato in modo tale che (a) asserisce qualcosa, (b) asserisce qualcosa sulla propria asserzione, (c) queste due asserzioni si escludono a vicenda.
・ Si impedisce al ricettore del messaggio di uscir fuori dallo schema stabilito, o metacomunicando o chiudendosi in se stesso.

Possiamo evidentemente notare come alla base del doppio legame vi sia proprio un paradosso pragmatico nella sua definizione da manuale. In particolare, impedire al ricettore del messaggio di uscir fuori dallo schema lo costringe di fatto a reagire forzatamente all’ingiunzione, che in quanto paradossale lo porta a rispondere in modo anch’esso paradossale.
È importante poi sottolineare che questo tipo di relazione non è unidirezionale, ma ogni membro del rapporto avrà importanza eguale rispetto agli altri, e se un doppio legame produce un comportamento paradossale, sarà proprio questo a legare il legatore. Perde allora di senso la domanda “come”, o “perché” in quanto questi sistemi patologici sono circoli viziosi auto-perpetuantesi. Laddove vi è un doppio legame, si potrà diagnosticare nel membro “più disturbato” la schizofrenia.
Davanti ad un doppio legame, le possibili reazioni possono essere:
・ La persona penserà di essersi lasciata sfuggire un particolare importante per rendere sensato lo schema, idea ancora più motivata dal fatto che per tutti gli altri membri lo schema appare come logico. Sarà perciò ossessionata dallo scoprire questi elementi, e non trovandoli porterà la ricerca a fenomeni senza alcuna attinenza col significato e con gli elementi che cerca di trovare.
・ Opterà per la soluzione paramilitare, e cioè prendere tutte le ingiunzioni alla lettera, elidendo ogni idea personale. L’osservatore perciò potrebbe notare comportamenti insensati in quanto mancherebbe la capacità/volontà di distinguere ciò che è banale da ciò che è importante, ciò che è plausibile e ciò che non lo è.
・ Potrebbe scegliere di chiudere i canali di comunicazione ed isolarsi psicologicamente e fisicamente, per evitare di dover reagire all’ingiunzione. L’osservatore si troverebbe davanti ad un soggetto autistico. Per lo stesso motivo la persona potrebbe decidere di diventare iperattiva, al punto da sommergere tutti i messaggi in entrata.

Una volta che il messaggio paradossale è stato imposto alla persona che a sua volta ha risposto con un comportamento paradossale anch’esso, il paradosso è imposto agli altri comunicanti, completando il circolo vizioso. Ogni comunicazione infatti tende a creare un circuito a retroazione positiva, cioè dove una volta che A ha inviato un messaggio a B, questo invia un messaggio sull’output ad A che lo modifica.

***Sull’importanza della metacomunicazione, rimando al paragrafo successivo, su “Chi ha paura di Virginia Woolf”

2.1 Chi ha paura di Virginia Woolf?

“Chi ha paura di Virginia Woolf” è un dramma teatrale di Edward Albee, scritta nel 1962 e rappresentata in tutto il mondo.
La trama è abbastanza semplice: tratta di una coppia sposata, Martha e George che invitano una domenica la coppia Nick e Honey, molto più giovani di loro. Tutto il dramma ruota intorno al confronto tra queste due coppie e allo scontro incessante tra Martha e George che con numerose escalation continuano a lottare per avere l’ultima parola su tutto. Imbastiscono una serie di giochi psicologici che portano la coppia ospite ad essere coinvolta nel gioco perverso tra i due protagonisti, e a scoprire che questi due mantengono il mito di un figlio immaginario che George ucciderà (sotto lo sguardo incredulo di Martha) alla fine della storia.
Il rapporto dei due protagonisti è un perfetto esempio di doppio legame, dove entrambi sono invischiati in quelle regole che non sono in grado di modificare e che fanno sì che il loro schema comportamentale si replichi all’infinito.
L’importanza della metacomunicazione risulta subito evidente, laddove manca in entrambi la capacità di comunicare sul loro gioco per modificarlo. Mancando quella che è la figura del terapeuta, che sarebbe in grado di cambiare il doppio legame e le regole, i due protagonisti continuano a tentare di distruggersi a vicenda, in un’escalation che non si esaurisce nemmeno alla fine del dramma teatrale, che non segnala certo la risoluzione del conflitto.
Poiché non c’è nulla che distingue la loro metacomunicazione dalla comunicazione, le proposte per modificare il gioco o per cessarlo non vengono ascoltate dall’altro che le interpreta come se fossero parte del gioco stesso.
Un esempio è l’episodio in cui Martha, implorante, prega ripetutamente George di fermarsi, con questo risultato:

Martha: (con tenerezza, si muove per toccarlo) Ti prego, George, basta con i
giochi, io…
George: (le dà con violenza un colpo sulla mano) Non toccarmi! Le tue zampe
tienile pulite per gli studenti!
Martha: (grida spaventata, ma debolmente)
George: (le afferra i capelli e le tira indietro la testa) Adesso stammi bene a
sentire, Martha; hai avuto la serata e la notte tutte per te e adesso non puoi piantarla anche se non hai più sete di sangue. Noi andremo avanti e ti sistemerò in un modo che il tuo spettacolo di stanotte sembrerà un quadretto di Pasqua. Adesso ti voglio un tantino sveglia. (La schiaffeggia leggermente con la mano libera) Tira fuori un po’ di vita, bambina mia. (La schiaffeggia ancora)
Martha: (cercando di liberarsi) Fermati!
George: (la schiaffeggia ancora) Riprenditi! Ti voglio in piedi e in forma, tesoro
mio, perché sto per metterti a terra e allora bisogna che stai su. (La schiaffeggia ancora; le dà una spinta e la lascia andare; lei si riprende
Martha: Va bene, George. Che vuoi?
George: Una battaglia alla pari, bambina. Tutto qui.
Martha: L’avrai!
George: Voglio vederti furibonda!
Martha: SONO FURIBONDA!
George: Lo sarai molto di più.
Martha: NON DARTI PENSIERO DI QUESTO!
George: Sono contento per te, ragazza mia. Adesso giocheremo questo gioco
fino alla morte.
Martha: La tua!
George: Avrai una sorpresa. Ecco i ragazzi. Tieniti pronta.
Martha: (passeggia per la stanza come un pugile sul ring)Sono pronta. [pp.208-9]

2.2 Conseguenze del paradosso

Bisogna tener presente che ogni relazione possiede strumenti di omeostasi che cioè permettono al sistema di restare in equilibrio. Un messaggio paradossale che genera un comportamento paradossale che provoca una comunicazione paradossale, è un sistema omeostatico dove l’equilibrio non solo è stabile ma è addirittura auto-perpetuante. I sistemi di comunicazione insani presentano regole ben più rigide di quelle di un sistema sano, in quanto l’omeostasi condizionata dal circolo vizioso fa si che non sia accettabile il cambiamento, perciò qualsiasi strumento per ristabilire l’equilibrio farà si che la situazione continui in eterno uguale a se stessa.
Sottolineo il fatto che le regole rigide presenti nei sistemi insani ad un osservatore esterno potranno far sembrare laa situazione caotica.
Un’altra importante differenza tra i sistemi sani ed insani è che questi ultimi mancano di metaregole, cioè di regole per il cambiamento delle proprie regole, nel caso in cui si rivelino inadeguate. Questo è evidente se si pensa che il sistema è eterno nel suo circolo.

Possiamo ipotizzare tre diverse situazioni paradossali che possono generare tre quadri clinici patologici:
・ La persona viene biasimata per il modo in cui vede il mondo o per la percezione che ha di se stessa. La persona (spesso un bambino dai propri genitori) tenderà perciò a diffidare dei propri sensi. Verrà esortata a vedere le cose “nel modo giusto” e ad essere accusata di esser pazza per pensare le cose in un certo modo. Il quadro clinico della persona corrisponderà a quello della schizofrenia, in quanto non sarà più in grado di trovare nessi logici che gli altri vedono apparentemente con chiarezza e lei no.
・ La persona viene rimproverata per il fatto di provare sentimenti che non dovrebbe provare. Si sentirà perciò in colpa per la propria incapacità di provare sentimenti adeguati, e il senso di colpa potrebbe essere l’ennesimo sentimento non giustificato. Cercando di provare quello che gli viene detto di dover provare, il comportamento della persona corrisponderà al quadro clinico della depressione.
・ La persona riceve da individui per lei importanti asserzioni dove le si chiede un certo tipo di comportamento e il suo opposto, ritrovandosi nella situazione di poter obbedire solo disobbedendo. Il comportamento corrispondente è quello della delinquenza o di instabilità.

In definitiva, ciò che fa di una relazione paradossale un circolo senza fine è l’impossibilità di cambiare le regole dello schema (metaregole) o di comunicare sulla situazione paradossale (metacomunicazione). I membri infatti non possono vedere, rimanendo all’interno della relazione, le alternative che non sono in essa contenute.

Non dimentichiamoci però che la nostra esistenza è satura di paradossi. Molti rapporti assicurano la propria stabilità quando i partner considerano realmente la possibilità di lasciarsi. La comunicazione paradossale abbiamo già detto che genera patologie laddove si forma un doppio legame per lungo tempo e questo diventa il pilastro base della comunicazione stessa.

Citare questi paragrafetti mi ha permesso anche di inserire gli esempi delle conseguenze di questi tipi di comunicazione paradossale.
Se consideriamo il mondo BDSM dove il dolore non è mai solo dolore e un “Sei solo una puttana” non vale mai (o almeno, quasi mai) fuori dalla sessione, la metacomunicazione svolge un ruolo a dir poco vitale per la coppia.
Specialmente per coloro che praticano i loro fetishes 24/7 è necessario saper conversare su metalivelli, perchè non c’è nemmeno più l’ambiente circoscritto dal tempo della sessione, perciò smette di esserci un Dentro e un Fuori.
Me ne rendo conto sempre di più man mano che pratico all’interno del bdsm: la metacomunicazione è l’unica cosa che impedisce di cadere all’interno di un rapporto paradossale e deleterio. Vedo moltissime coppie (non necessariamente intese come coppie ‘romantiche’) che non metacomunicando consciamente si ritrovano invischiate in un circolo vizioso che li intrappola sempre di più, in una spirale di pretese e concessioni non capite.

“Il fatto è che una persona non può scegliere la sola alternativa che la aiuterebbe a scoprire quello che la gente vuol dire; non è in grado – se non viene molto aiutata – di discutere i messaggi degli altri. Ma se non è in grado di farlo, l’essere umano è simile a ogni sistema autoregolantesi che abbia perduto il suo regolatore; gira entro una spirale di deformazioni interminabili che sono però sempre sistematiche” [Bateson, Gregory, Jackson, Don D., Haley, Jay e Weakland, John, “Toward a Theory of Schizophrenia”, Behavioral Science (1956), 1, pp. 251-64]

L’ambiente cuck in particolare è pieno zeppo di queste situazioni, perchè si basa sulla stessa pratica paradossale del tradire senza tradire davvero. Le oscillazioni tra ciò che è oltraggioso all’interno della coppia e ciò che non lo è sono veloci e instabili, nonchè imprevedibili. Se la diade ha anche un doppio legame di tipo Mistress e sottomesso, abbiamo la perfetta ricetta per una situazione intricata destinata ad intricarsi ancora di più, dove i paletti limite vengono spostati più in là senza alcuna logica. Come se in un rapporto BDSM la safe-word (metacomunicazione per eccellenza, la porta di ‘salvezza’) venisse cambiata arbitrariamente da uno dei due ogni giorno senza che l’altro lo sappia, così da intrappolarlo all’interno del ruolo senza possibilità di scampo.
Persino nei contratti di collarizzazione più stretti, laddove viene indicata come regola finale “La slave non può decidere di interrompere la relazione”, c’è sempre la libertà di metacomunicare e modificare le regole attraverso delle metaregole.
E’ un tipo di libertà che non deve MAI, MAI essere revocata. E deve essere nella testa di tutti che questa libertà non PUO’ essere revocata perchè saltando di livello si può sempre arrivare a parlare da pari a pari con il partner che si ha di fronte.
La sottomissione è pur sempre un atto di volontà individuale, così come essere Master/Mistress o essere slave richiede la collaborazione di entrambi, ed entrambi hanno pieno diritto di conversare con l’altro per correggere la dinamica qualora stesse uscendo fuori dai binari.

Leggo di troppi rapporti che vanno alla deriva e che, con un occhio sufficientemente lungimirante, si mostrano destinate a circoli viziosi sempre più stretti finchè uno dei due (o entrambi) non soffocherà.
Pensiamoci.

Bibliografia: Watzlawick, Beavin, Don D. Jackson, “Pragmatica della comunicazione umana”, Roma Astrolabio (1971);
Watzlawick, “Il codino del Barone di Münchhausen”, Milano Feltrinelli (1989)